“Mi raccomando, è molto importante che un corriere del Dark Web non guardi mai cosa si cela nel pacco. Dimmi che hai capito.”
“Che io sappia, nessun corriere è autorizzato a farlo.”
“Ricordati sempre che c'è una microcamera all'interno. L'unico che deve essere ripreso è il cliente, nessun altro. Chiaro?”
“Quando devo partire?”
“Ora.”
. . .
“Che serata di merda per lavorare...”
Disse rassegnato Nathan, chiudendo la portiera.
Erano diversi anni che viaggiava qui e là per la città, portando pacchi da un punto a un altro; da studente, aveva cominciato come fattorino di cibo in delivery, finendo così di pagarsi il college, mettendosi da parte un magro gruzzoletto. Era però arrivato il momento di dare una svolta alla sua vita e decise così di buttarsi su una nuova esperienza.
La nuova era delle spedizioni era incominciata e le attività che le gestivano nascevano come funghi in un bosco. Fra queste, una piccola fetta si occupava di merce del dark web.
Poche regole ma decisamente importanti: consegnare puntuali, attendere sempre il destinatario per completare la consegna, non fare domande a nessuno e non sbirciare il contenuto dei pacchi per alcun motivo; in caso di infrazione di tali regole, le conseguenze sarebbero state irreversibili.
L'azienda per la quale aveva da poco iniziato a lavorare era segreta e illegale, ma avrebbe pagato discretamente bene e tutto sommato gli era sempre piaciuto girare il mondo: talvolta faceva viaggi di un giorno intero in treno, oppure in aereo da un aeroporto all'altro anche solo per vedere un monumento particolare di città ai confini del mondo.
Quella sera, l'acquirente si identificava col nome di “HEAD.H.”, anche se l'unica scritta ben leggibile era quella che indicava l'indirizzo; il resto era stato sfumato dalla pioggia.
La tempesta proveniente da sud si era intensificata e si prospettavano giorni di abbondanti acquazzoni, ma l'obiettivo di Nat era uno solo e doveva portarlo a termine: eseguire la consegna e sparire. Il pagamento in contanti sarebbe avvenuto in un punto casuale stabilito dal capo.
“Non sei tanto leggero eh? Chissà cosa nascondi...”
Domandò, rivolgendosi al pacco ben saldato ai sedili posteriori che di risposta traballò a un dosso.
Si accese una sigaretta e all'esterno le luci caotiche e acquose della superstrada correvano al contrario, allontanandosi una dopo l'altra.
Nat sfrecciava ai 130 come se avesse qualcuno dietro il culo pronto per tamponarlo, e in qualche modo era così; ad ogni minuto di ritardo, l'invisibile tassametro della sua paga sarebbe diminuito.
Il cellulare nel porta bottiglie vibrò; l'azienda gliene avrebbe fornito uno nuovo ad ogni consegna.
Niente internet, niente giochi; soltanto chiamate e messaggi. Per quanto riguardava il suo smartphone, gli era concesso l'utilizzo soltanto a consegna effettuata e avrebbe quindi dovuto tenerlo spento per tutta la durata del viaggio.
Lesse il numero: “Sconosciuto”.
“Chi mi cerca?”
Dall'altra parte, qualcuno bisbigliò:
“Don't Look Inside, Don't Look Inside, Don't Look Inside.”
La pioggia si schiantava sul parabrezza e Nat non riuscì a comprendere bene le parole:
“Può essere più chiaro, non la sento.”
La linea cadde e il ragazzo, con aria interrogativa, poggiò il cellulare da dove lo aveva preso.
“Fottuto temporale.”
Passarono un paio d'ore e intorno alle 23:00 si fermò in un'area di servizio per acquistare qualche snack; era consapevole che lasciare l'auto incustodita anche solo per dieci secondi poteva essere fatale quindi fece tutto in totale rapidità, senza mai distogliere lo sguardo dall'automobile.
“Giornataccia eh?”
Disse l'uomo alla cassa, un cinquantenne di colore senza grosse aspirazioni. Aveva due folte sopracciglia e i lobi delle orecchie penzolavano come le orecchie di un bassotto.
“Non sarà certo l'ultima da quello che dicono.”
Rispose Nat, più che altro per cortesia e per colmare l'imbarazzante silenzio lasciato dal negoziante.
“Hai l'aria di chi ne avrà per un bel pezzo. Sei un corriere vero?”
“Già...”
“Non vi invidio ragazzo, anzi; siete degli eroi. La gente oramai compra tutto su internet, perfino il pane cazzo! Mi domando dove andremo a finire; chi viene qui da me compra soltanto preservativi, sigarette e qualche schifezza da mettere sotto i denti.”
Il discorso filava ma Nathan non aveva voglia di intavolare discorsi con nessuno, tanto meno cose sull'etica e via dicendo; un altro sguardo alla macchina: era ancora lì sotto la tettoia.
“E dì un po', cosa trasporti di bello? Computer, elettronica?”
“Di tutto, se devo essere sincero, ma non so mai di preciso quello che si cela nelle scatole. Politica aziendale...”
Ammise, stappandosi una lattina di coca cola sottomarca.
“Ti viene mai la tentazione di aprirli prima di consegnarli? Io sarei fottuto prima ancora di cominciare la prima tratta; dannata curiosità.”
“Ciò che conta è che il cliente sia soddisfatto e che il pacco arrivi integro.”
Lasciò i soldi sul bancone e fece un cenno di saluto al commerciante, poi uscì sotto la pioggia e si affrettò a risalire in auto.
Mise in moto e sfrecciò verso la superstrada: lo attendeva una lunga nottata.
Dopo circa un'ora, il cellulare prese a vibrare di nuovo e Nat rispose immediatamente:
“Pronto?”
“Don't look inside! Don't look inside!”
L'auto colpì una buca e l'apparecchio gli cadde vicino ai pedali. Con non poca fatica riuscì a riprenderlo e lo portò rapidamente all'orecchio:
“Come dice? Non la sento.”
Ma ancora una volta, dall'altro capo del telefono avevano già riagganciato.
“Mi prendete per il culo?”
Sbuffò, gettandolo sul sedile affianco.
Percorse qualche miglio e più avanti, sulla destra scorse dei lampeggianti blu a bordo strada. Un poliziotto si sporse con la paletta invitandolo ad accostare.
“Ma porca puttana...”
Solitamente, chiunque lo fermasse aveva tutto il diritto di perquisire l'abitacolo, compreso bagagliaio e vano motore; se c'era una cosa che nessun organo di legge poteva fare era controllare i pacchi che trasportava.
Infatti, non appena una delle due guardie si affacciò al finestrino del guidatore, Nat espose subito il tesserino che attestava la sua professione.
Come valeva per il cellulare, anche in questo caso aveva una targhetta diversa per ogni tratta, e su ognuna non vi era mai il nome della stessa azienda.
“Documenti per favore.”
Il ragazzo glieli passò e con essi il certificato di professione.
I poliziotti verificarono i dati nel loro furgone mentre in strada le macchine correvano sferzate dalla pioggia.
Dopo appena un minuto, lo stesso poliziotto tornò al finestrino:
“Qui leggo Craig Ingrahm, giusto?”
“Si, sono io.”
“E lavorate per la 4FastExpress?”
“Esatto...”
“Non mi risulta facciano spedizioni notturne. Che io sappia, nessun corriere è abilitato a consegnare pacchi dopo le 19.00.”
“Sono in viaggio da diverse ore infatti, ma con questo tempaccio ci si muove a rilento.”
L'uomo gettò un'occhiata dentro l'auto e con la torcia illuminò il pacco.
“Posso...?”
“Certo, ma devo chiedervi di non scuotere il pacco. Politica aziendale...”
Ma il poliziotto lo stava già esaminando.
“Strano imballaggio, privo di scritte. Il nome del destinatario è semi cancellato, ha visto vero?”
“Tutta colpa di questa pioggia. Spero davvero che finisca presto.”
All'improvviso la radiolina gracchiò:
“Scontro frontale fra due autovetture al raccordo nord della Interstate 5, direzione Bakersville. Priorità due.”
L'agente di polizia sgusciò fuori dalla vettura e fece cenno a Nat di proseguire; non se lo fece dire due volte e ripartì, lasciandosi alle spalle l'ansia dei lampeggianti.
Nonostante il passare delle ore, la bufera non parve concedere tregua e Nathan dovette fermarsi un paio di volte a causa dell'intensità della pioggia. Un enorme cartellone pubblicitario spiccava su un colle: raffigurava una bambina con un regalo incartato di fronte a lei e sopra la scritta “Non aspettare! Quello che cerchi lo hai fra le mani! Aprilo!”.
Il giovane accennò una risatina ironica, stringendosi nelle spalle:
“Dio, ce l'hai con me?”
Accese la radio e si sintonizzò sul notiziario:
“...ancora nessuna novità sul caso della donna scomparsa da Lancaster. Le ricerche stanno proseguendo ormai da due giorni ma non è stato ancora rinvenuto alcun indizio che possa agevolarne il ritrovamento...”
L'intensificarsi della pioggia non permise a Nat di apprendere completamente la notizia, e ironizzò:
“Bastardi, infangano la splendida reputazione della mia città... ”
Poi colpevolizzandosi, aggiunse:
“Devo ricordarmi di chiamare mia madre.”
Finì di sgranocchiare qualche chips e ripartì, contando di arrivare a destinazione in non più di tre ore.
. . .
Il grosso pannello sulla destra diceva “BENVENUTI A FRESNO”, scritto in caratteri lineari e per nulla stravaganti.
Dall'entrata in città aveva intravisto solo un paio di pattuglie e le stradine laterali dormivano cullate dalle luci arancioni dei lampioni mentre la pioggia continuava a sciogliere colori sul parabrezza.
Controllò due o tre volte l'indirizzo sulla scatola, voltandosi per illuminarlo e distogliendo temporaneamente lo sguardo dalla strada: Ventura Street, capannone marrone lato ovest, inferriata aperta.
Imboccò il vialetto lasciandosi alla spalle una torre idrica di una decina di metri che si stagliava a lato in un campo, proseguì qualche minuto, rallentando progressivamente fino a raggiungere destinazione.
Guardò l'orologio:
“Sono pure in anticipo, cazzo dovrebbero darmi una promozione!”
Parcheggiò l'auto in quello che sembrava essere un cortile mal tenuto, con le erbacce incolte che infestavano la ghiaia e un grosso magazzino apparentemente abbandonato che si ergeva di fronte all'arrugginito cancello d'ingresso.
All'improvviso una luce esterna si accese e il fascio illuminò il portone d'entrata dello stabile che, pochi istanti dopo, si aprì: il faro soprastante rivelò una figura al suo interno, immobile nella penombra.
Nat scrutò per capire se potesse trattarsi del destinatario del pacco e, senza rifletterci troppo, spense l'auto e scese, dirigendosi proprio verso il magazzino; quando fu abbastanza vicino da farsi sentire chiese:
“Aspetta un pacco signore? Sono della 4FastExpress, ho una consegna per HEAD.H....”
“Portalo dentro maledizione, così si rovina!”
Sbottò l'uomo, irritato. Nathan si affrettò ad entrare, proteggendo il pacco tentando di non farlo bagnare ulteriormente.
“Appoggialo lì sopra. E fai piano! È molto delicato!”
Il ragazzo fece come ordinato, poi indietreggiò estraendo il cellulare aziendale, in attesa di un qualche segno che confermasse il termine della tratta.
Il tizio, dopo aver armeggiato con la scatola appena ricevuta, esclamò soddisfatto:
“Finalmente, era l'ultimo pezzo per completare la mia creazione.”
Poi, rivolgendosi a Nat, disse:
“Dai un'occhiata ragazzo, sulla parete.”
Con un telecomandino azionò una fune, alla quale era appeso un corpo: il dorso mostrava due seni prosperosi, al bacino era stata cucita la coda di una tigre e gli arti superiori non erano altro che le zampe di un alligatore. In tutto ciò, mancava la testa.
La visione di quell'abominio fu sconcertante anche per un appassionato di horror come Nathan, il quale aveva finalmente compreso il contenuto del pacco.
Mentre osservava la “creatura” penzolante, l'uomo gridò:
“Porca puttana c'è un cellulare qui dentro! Un cazzo di cellulare! Qualche stronzo ha voluto incastrarmi! Portalo via da qui, sparisci cazzo! ”
Prese la testa con una tale velocità da perdere l'equilibrio e per poco non cadde per terra; Nat, di rimando, schizzò fuori dall'edificio portando con sé la scatola, gettandola sul sedile del passeggero.
Mise in moto e, in preda al panico, si diresse nuovamente verso la superstrada; accelerò più che poté senza curarsi dei limiti, sfrecciando in centro abitato a più di 100 chilometri orari.
Il cellulare aziendale vibrò ma questa volta lasciò perdere; doveva tornare a casa.
Varcò il pannello “Arrivederci da Fresno” e imboccò l'Interstate 5 in direzione Lancaster mentre il temporale non dava tregua, soffocando le stelle con le sue nubi scure.
Pur sapendo che non l'avrebbe trovata sveglia, fece un tentativo e dopo aver acceso il suo smartphone, compose il numero di sua madre.
Squillò, un paio di volte, poi il cellulare nella scatola prese a suonare.
Senza pensarci guardò lo schermo: c'era scritto “Nat” con un cuore affianco.
Nello stesso istante, il cellulare aziendale vibrò ancora.
“Pronto...”
Disse il giovane, fissando la strada davanti a sé con occhi vitrei.
“Hai completato la tua prima consegna. Incontrerai uno dei miei uomini all'indirizzo che ti sto inviando, la paga la riceverai da lui.”
Rispose qualcuno dall'altra parte, prima di riagganciare.
Nat chiuse la conversazione, lasciando cadere il telefonino sul sedile; l'autoradio si accese, probabilmente da sola, con sotto le note iniziali di “Otherside” dei Red Hot Chili Peppers...
“How long, how long will I slide?
Separate my side.
I don't, I don't believe it's bad.
Slit my throat, it's all I ever.”
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